Se ogni persona ripensasse e riflettesse sulle proprie esperienze di vita, sulla storia degli avvenimenti che sono capitati nel mondo, dovrebbe riconoscere coscientemente che all’origine di tutto vi è sempre un incontro.
Nella seconda metà degli anni ‘80 del secolo scorso, lo Spirito Santo illumina il grande papa Giovanni Paolo II, che nomina mons. Bruno Schettino, quale successore del buon Umberto Altomare, Vescovo della diocesi di Teggiano Policastro.
L’intelligenza, la santità e l’acume di questo sacerdote, proveniente dalla diocesi di Nola, uno dei preti vicino al Movimento di Comunione e Liberazione, lo guidano e lo assistono nella scelta di un gruppo di giovani lavoratori e studenti del Vallo di Diano e del Golfo di Policastro ai quali propone l’esperienza di una compagnia umana bella ed affascinante. Don Bruno riusciva ad amare e coinvolgersi nella vita di ciascuno di quei giovani che, appassionati, lo seguivano fedelmente nelle sue molteplici attività pastorali o negli inviti a momenti diocesani e nazionali (Meeting di Rimini, vacanze studio, ritiri spirituali, etc…)
Uno dei tanti giovani incontrati da don Bruno, il suo figlioccio spirituale, che lo seguirà con devozione filiale è Vincenzo Federico. L’amicizia e la compagnia di don Bruno fanno sperimentare al giovane l’attrattiva e la bellezza della vita cristiana, maturando in lui la vocazione sacerdotale, che coltiverà e arricchirà nella sequela al Movimento di Comunione e Liberazione. Le persone delle comunità incontrate, i sacerdoti di Cielle, i momenti di incontro cui partecipa accompagnano e sostengono la sua preparazione al sacerdozio.
Eravamo nei primi anni ‘90 con il giovane don Federico, con don Gennaro e con altri amici della Fraternità della diocesi di Teggiano-Policastro nei vecchi padiglioni della fiera di Rimini, quando Don Giussani, con la sua solita, caratteristica e vibrante voce paterna e il suo accattivante sguardo, così commentava e rifletteva sul tema: “Il sacrificio più grande è dare la vita per l’opera di un altro”, l’Altro. Richiamando san Paolo che scriveva: Cristo ha dato la vita per l’opera del Padre, l’opera di un altro, affermava il sacerdote milanese, è l’Opera di Dio. Perciò è a Dio che si dà tutta la vita e la si dà donandola ad una persona ora, nel presente, altrimenti svanisce la sua storicità, si deprime la sua concretezza e non si dà più la vita per l’opera di un Altro, ma per i propri gusti, per una propria interpretazione, per un proprio tornaconto o per un proprio punto di vista. Tutto ciò implica, quindi, che uno ha un padre, chi non ce l’ha è “affettivamente mancante”. La paternità personale, perciò, genera l’io; anzi l’autorità genera l’azione dell’io, continuava don Giussani.
Ma cosa significa avere un padre?
Tre fatti: sentirsi stimati e amati, avere una volontà di dipendere da un Altro ed essere sempre pronti all’obbedienza come suprema forma di una appartenenza. Da queste tre cose, certamente la più difficile è l’obbedienza, nasce la gioia, anzi starei per dire che la gioia nasce dall’essere stimati e amati, mentre dalla dipendenza nasce la letizia e dall’obbedienza nasce l’audacia.
San Giacomo scriveva che “la Fede senza le opere è morta”. Ma la fede è morta anche senza la Carità. Quando i giudei stavano raccogliendo ogni sorta di pietre per lapidare Gesù, oggigiorno si assiste e si pratica la stessa lapidazione attraverso i social o i pettegolezzi propagandati contro uomini di Chiesa o fratelli fragili, Gesù disse ai giudei: “… Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete in me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre”. La Carità che è l’amicizia tra Dio e l’uomo, si vive e incontra oggi, nel presente, e dà sempre nuove risposte alle domande, ai bisogni, alla mendicanza (Cristo mendicante del cuore dell’uomo. Il cuore dell’uomo mendicante di Cristo). Spesso capita ed è esperienza di ogni quotidianità, di incontrare persone, situazioni, avvenimenti che ti interrogano, che ti costringono ad andare fino in fondo, che ti mettono a dura prova e quindi…s’intraprende e si sviluppa un’opera.
San Giuseppe, nel romanzo l’Ombra del Padre, così pregava (Berakà): “Oh, Signore, Re del mondo, Ti prego di indicare al Tuo servo quale sia la Tua volontà. Non fare che io cerchi per me la quiete, mentre Tu chiedi che si agisca…”.
Don Vincenzo negli oltre venticinque anni di sacerdozio, in obbedienza ai Vescovi della Chiesa di Teggiano Policastro, certamente ci ha testimoniato di non aver cercato una sua quiete, ma ha sempre agito per l’Opera di un Altro.
Maggio 2021 Gennaro Marotta