Qual è la storia della Bottega dell’Orefice?
La Bottega dell’Orefice nasce un fine anno 2005, in modo semplice, incontrando per caso Alfonso Mare, un ragazzo fragile e bisognoso di casa. Da qui nasce l’idea di Don Vincenzo Federico di aprire una casa per persone con disagi psichici, lasciati soli dalle istituzione e spesso dalle loro famiglie.
La Bottega rappresenta una dimora, un punto di riferimento anche affettivo, per uomini e donne dell’intero comprensorio . Chi sono le persone che abitano questo luogo ?
Abbiamo accolto ragazzi di tutto il comprensorio s10 del Consorzio sociale Vallo di Diano Tanagro Alburni che va da Sanza a Caggiano. Sono tutte persone con disagi psichici, senza famiglia o nel caso di alcune con una famiglia non in grado di gestire le complesse condizioni del proprio congiunto.
Qual è l’importanza invece del centro diurno nell’ambito del contrasto al disagio psichico e sociale del Vallo di Diano?
Il disagio psichiatrico è qualcosa che infastidisce e spaventa l’altro. Spesso diventa un peso per famiglie già molto problematiche e per questo il centro diurno diventa un sostegno per alcune ore durante la giornata, abituando i ragazzi ad una normalità, di uscita, d’incontro, di giochi e attività che insieme alle terapie servono da stabilizzatori .
Quali sono gli enti con cui la Cooperativa l’Opera di un altro gestore della Bottega si interfaccia?
Prima di tutto con i Comuni, il Consorzio sociale Vallo di Diano Tanagro Alburni e ha rapporto continuativo e sempre in crescita con Unità Operativa di Salute Mentale dell’Asl di Sant’Arsenio. Prima della pandemia Covid, i nostri ospiti facevano anche attività sportiva presso il centro sportivo di San Rufo e attività pomeridiane con altre associazioni presenti sul territorio (Associazione Finamore e l’Associazione Una Speranza).
Negli ultimi tempi, la Bottega dell’Orefice è stata interessata da lavori di ampliamento e ristrutturazione. Quali sono i servizi che ospiterà nel prossimo futuro?
Negli ultimi tempi sono stati fatti molti lavori sull’ampiamento e sulla ristrutturazione della struttura. Per i ragazzi affetti da malattie di salute mentale l’ordine, la pulizia e la bellezza sono elementi molto importanti
per la loro vita quotidiana. L’idea che vorremmo mettere in atto è quella di ampliarla anche per persone affette da problematiche psichiatriche e dipendenze, la cosiddetta: doppia diagnosi.
Ritiene ci sia ancora diffidenza verso la malattia mentale?
L’idea dell’altro diverso spaventa sempre, ma questa idea nasce soprattutto dalla non conoscenza. Facendo conoscere le persone, i loro nomi, i loro sorrisi, sicuramente la diffidenza è diminuita ma è sempre molto presente.
Quale è il ricordo più forte, bello ed intenso che lega la sua vita a quella della Bottega? E quello più doloroso?
Il ricordo più bello con i miei ragazzi è stata la condivisione di un pranzo con tutta la mia famiglia in quel momento non esisteva qualunque differenza, non esisteva “il normale” e “la normale” ma semplicemente stare insieme. Il momento più doloroso invece, è stata la morte del “gigante buono” Carmine, il quale ha rotto tante porte ma aperto tanti cuori.
Al di là dei servizi socio-sanitari che saranno al centro dell’operato della Bottega, di quali dialoghi e collaborazioni, pensate ci sia bisogno per una partecipazione piena della comunità?
La comunità può essere un elemento sicuramente accrescitivo per la vita del centro e la vita di coloro che lo abitano o lo frequentano.
In che modo avete affrontato la pandemia ei periodi bui del lockdown?
La pandemia per le persone con questa fragilità è ancora più difficile, noi eravamo abituati a tanti abbracci e baci e all’improvviso gli operatori erano diventati distanti per loro. In questo periodo c’è stato tanto lavoro, sia per sensibilizzare i ragazzi e abituarli alle nuove regole e sia nel reinventarsi nuove abitudini per cercare di non farli sentire mai soli. Nel primo lockdown per una maggiore tutela, 2 operatori hanno vissuto h24 per 3 mesi con loro, l’unica ad avere un accesso esterno ero io. In questo periodo, anche se con il covid ancora presente, con tutte le precauzioni si è ripresa la quasi normalità con tutti gli operatori.
Quali sono le parole o meglio le emozioni che più si legano alla realtà della Bottega?
Gruppo, mamma e sigaretta. Queste sono le tre parole con cui mi piace descrivere i miei ragazzi. Loro sono diventati un vero e proprio gruppo, dove tutti contano su tutti e tra di loro ci sta una grandissima affinità. Mamma è la parola che più mi lega a loro, sentirmi così è l’emozione più grande perché mi ha fatto capire che la mamma non è solo quella che ti porta in grembo ma può essere anche solo una persona che si prende cura di te . Sigaretta è la richiesta che più può stressare e aggiustare la giornata, perché ho capito che una sigaretta si fuma, si mangia, si chiede, ti rilassa, ti fa impazzire e ti fa piacere.